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poesia di Vincenzo Scognamiglio



Sera tiepida,
Il primo caldo mi è dolce
Sulla pelle appena profumata.
Lo guardo mentre guida,
Così sicuro e bello
Del suo desiderio giovane e ricambiato.

Ed appare la nostra stradina,
Piccolo e dissestato ingresso
Tra le foglie
Del nostro paradiso privato,
Verso due corpi pronti a confondersi.

Finalmente le sue mani,
Le nostre bocche
E poi ancora le sue mani,
Un fruscio leggero,
Un fruscio più forte
D'imporovviso altre mani
E in un lampo dov'è lui?
...
Grida zittite e troppe mani
Che mi tengono chiusa la bocca
Che mi tengono aperte le gambe,
Quanta puzza, troppe TROPPE mani
Dove sono? Chi sono?

CHI SONO?
Sporca e lurida in quest'ospedale,
Come laverò la memoria?
Tocco il simbolo ferito e dolorante
Della mia femminilità,
Lo maledico,
Lo vorrei strappare.
Cosa sono ormai?
Vedo la finestra aperta
Ma manca la forza per seguire il pensiero
E allora lascio che si perdano
Tutti i sensi
In un oblio dove il mondo non esiste!
Così fuori è silenzio.


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