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PICCOLO PROBLEMA TECNICO: PREMIAZIONE ALLE 21 e 30
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di Michelangelo Marchingiglio - Erice


Indifferente,
il tempo vide creare il mondo,
plasmare l’uomo.

Opera preziosa
paziente
artigianale
unica
immortale
divina impronta del Padre
geloso,
collezionista d’esclusive gioie
che, ad ogni sguardo
fa, l’anima, risplendere.

Bizzarro,
giocherellone
“il tempo”
mi vide nudo e felice
“custode della Vita”
saltellare
tra i campi in fiore e le gazzelle,
i cerbiatti
e le lepri,
rincorrere lei.

Un mondo
senza storie di ghetti,
ma di creature luminose
e specie sublimate
da colori armoniosi
in movimento:
esclusiva contemplazione
del Re dei Re.

Poi,
fu tempo dell’inganno
e
all’inganno,
seguì il disincanto.

Un flash!
e il tempo,
debole,
indifeso,
mi vide
ma fuggì via

Libero?

No!,
pauroso e schivo
“adolescente”
dissacratore della gioia
“primizia dell’amore”
ancor
non dichiarato.

L’inganno!,

cos’altro è
l’inganno,
se non il nascosto
che si qualifica,
emerge
con forza?

Può l’amore di Dio
immutabile
nel tempo:
“Tempo di Dio”
nascondere verità
alle sue creature?

Può l’amore del Creatore
proibire,
l’impensabile
nascosto
dell’anima
che sconosce
ogni possibile ripiego?

Figlio della discordia
è l’inganno
che relazionato
all’Amore premuroso,
appagante del Creatore
non trova via.

Riparazione,
pentimento,
catastrofe
erano inesistenti
nel libro dell’anima
innamorata di Dio.

allora
in che misura
la mia ingenuità,
disobbedienza
“arcano fascino” del nuovo
seppur irresistibile,
irresponsabile,
è colpevole?

Dio!,
Padre mio,
dimmi:
se l’estroverso tempo
acquisito avesse
la tua Sapiente maturità,
si sarebbe arrestato
davanti all’imput ingannevole,
che mi fece schiavo suo
e di me stesso?

Così parlavo,
mentre guardavo lassù,
in alto,
verso il mio cerchio di cielo
quegli occhi lucenti
proiettati a osservare,
indicare la via
che si vede
dove non è.

I miei occhi smarriti nel nulla,
riflessi nell’infinito
“Misterioso manto nero”
del dolore accumulato

“funzione del tempo”

Tempo del dolore
della disarmonia
della fragilità

“Specchio dell’anima”

illuminato da costellazioni
che sembrano muoversi,
aleggiare imponenti:
Betelgeuse, la rossa;
Rigel, suo compagno;
due occhi estremi,
luminosi
di due ali spiegate nella notte.

Non mi rispose,
Dio creatore.

Sconvolto,
io “Adamo”
mi guardai intorno
e vidi una montagna nuda,
spettrale
che a stento
riconobbi essere
”la montagna dalla voce tonante”
dove un tempo felice e breve
la voce del mio Signore
rinvigoriva,
accarezzava
l’anima mia.

In essa una grotta.

Sotto,

un ruscello
e animali in fuga
dal linguaggio incomprensibile,
mentre
una forza sconosciuta,
invadente
mi devastava l’anima.

Tutto era fuoco
gelo
fiamme
desolazione
paura.

E …mi vennero in mente
le formiche,
quando per gioco
Io ed Eva
soffiavamo su di esse:
esseri buffi,
minuscoli.

Rimbalzavano le formiche
e smarrite,
confuse,
impaurite
si disperdevano
per ogni dove.

Così… noi,
creature in fuga nel nulla,
travolti dal freddo vento,
dal gelo
lamentavamo l’armonia
e la felicità perduta.

Allora,
recuperai dei rami d’albero
ancora rossi di fulmine
e li deposi
in un braciere,
“cavità naturale”
all’interno della grotta.

Il fuoco riempì di luce e calore
la grande e fredda casa
dalle forti mura luccicanti.
Poi,
m’avvicinai alla mia donna:
smarrita
tremante,
la presi per mano
e la condussi
nella nostra calda casa,
profumata di ramo secco aromatico
e fu felice.

Uscito fuori …
raccolsi altri rami secchi
che accumulai
in fondo alla grotta,
angolo protetto
dalle infiltrazioni
dell’acqua.

Per la prima volta,
curioso
quel fuoco vivo, osservavo
immobile,
stupito,
confuso…

Lo “spirito libero”
schioppettante,
che all’anima mia
apparso era,
come immortale,
vedevo lentamente
consumarsi

guardai Eva…

e mentre impotente
l’anima mia ritornava nel buio
lesta,
la vidi
prendere dei rami secchi
che depose nel braciere
e vidi con gioia
la fiamma ravvivarsi.

Il gesto nobile
responsabile
premuroso
attento
nominò Eva
guardiana
del Sacro Fuoco.

Creatrice di armonia,
la fece
e di luce
e calore domestico.

Con la fiamma
ardente nel cuore
come di un guerriero vittorioso
abbracciai la mia donna,
la baciai,
la feci mia.

Il suo corpo
dapprima candido,
soffice,
vellutato,
la cui anima
bagnata di rugiada
profumava di Dio
adesso sapeva di lussuria,
di morte,
primizia della storia umana
crudele
e tristemente
iniqua.


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